Di recente la notizia che la Foxconn abbia deciso di spostare la sua produzione fuori dalla Cina ha sconvolto il mercato: la sua produzione è sempre stata in Cina per poter tenere i prezzi di produzione più bassi possibile, a dispetto dell’effettivo prezzo sul mercato.
La causa è stata indicata nei dazi doganali indiani, estremamente alti sulle merci in entrata, che fanno addirittura raddoppiare i costi di un già non economico smartphone – non scherzo, non molto tempo fa mi chiesero consigli sui componenti per un PC assemblato e finii per consigliargli un viaggio e un acquisto all’estero – e che non riescono a garantire più di un misero 1% del mercato indiano, nonostante sia ancor oggi in grande crescita. La Apple, per ovviare a questo problema, aveva già prodotto altri telefoni in India: l’iPhone 6S e l’iPhone SE furono prodotti dalla Wistron all’interno dei confini indiani proprio per evitare i salati dazi doganali. Poiché la produzione è stata interrotta, si suppone che presto verrà aggiornata all’iPhone X (anch’esso fuori produzione dopo l’entrata in commercio di XS e XS Max) al fine di proporre in India il prodotto ad un prezzo più basso e per mantenere gli accordi con la Samsung che forniva i display OLED, in modo da non avere disavanzi.
Anche la GoerTek, l’azienda che produce gli airpods, ubicata a Shenzhen, ha affermato di guardare al Vietnam per la produzione, insieme alla Brooks sports (l’azienda delle scarpe, si). Lo stesso CEO della Canada National Railway si è espresso propenso alla stessa decisione, affermando che la produzione primaria è propensa alla rilocazione e all’aggiornamento, affermando: “verrà spostato in Vietnam, Bangladesh, Indonesia, e il prodotto verrà comunque creato”
Forse i dazi indiani non sono l’unica causa di questa rilocazione, forse dobbiamo guardare alla Cina.
Al momento la Cina ha dichiarato di avere un prodotto interno lordo in crescita del 6.5%, il tasso più basso dalla crisi finanziaria del 2008 – e sappiamo bene che questi valori generalmente forniti dagli stati sono sempre ritoccati con una visione particolarmente ottimistica – inoltre, alla recente fiera di Guangzhou sono state riportate diminuzioni di ordini verso gli Stati Uniti di un buon 30% rispetto all’anno precedente.
A buttare benzina sul fuoco è l’attuale stato di rapporti tra Cina e USA: le tasse all’importazione dalla Cina potrebbero aumentare dal 10% al 25%, con conseguente aumento dei prezzi al dettaglio di tutte le merci; il futuro non sembra proprio roseo, viste le minacce dei rappresentanti cinesi.
Le vere cause, quindi, sono le classiche leggi di mercato: i prodotti verranno venduti fino a che il prezzo non sarà percepito come troppo alto dall’acquirente, cosa che potrebbe avvenire, visti i possibili aumenti di dazi, costi di produzione e il rischio di eventuali blocchi.