Di recente si è alzato un polverone riguardo alla riparabilità dei prodotti in vendita. Chi è a favore e chi contro?
Nell’ultimo periodo, negli Stati Uniti, si sta discutendo l’attuabilità di una legge che favorisca la riparabilità dei prodotti in vendita. Nel dettaglio, che renda possibile riparare il proprio portatile, cellulare, frullatore o qualsiasi altro elettrodomestico, tramite la maggiore reperibilità di pezzi di ricambio originali, schemi e strumenti di diagnostica, ad oggi spesso irreperibili, se non per vie traverse.
Se ne sta parlando moltissimo in Nebraska, il primo stato che ha affrontato di petto il problema presentando un disegno legislativo reperibile qui.
L’approvazione di questa legge potrebbe portare, a cascata, l’approvazione di leggi molto simili negli altri stati americani, e (fatemi sognare) probabilmente anche in Europa.
Inutile dire che tutti i grandi produttori, Apple per prima, sono contrari a questa politica: loro guadagnano sui loro prodotti ricondizionati, e permettere agli utenti di riparare il loro prodotto liberamente significherebbe vendere meno prodotti nuovi e meno ricondizionati.
Continuo a prendere come esempio la Apple, semplicemente perché mi è più comodo, ma avrei potuto scegliere tantissime altre aziende, che, oltre a non voler condividere informazioni come la posizione dei fusibili sulle loro schede logiche, definendo tale informazione segreto industriale, si preoccupano ogni volta di rendere i propri dispositivi meno riparabili, rimuovendo viti e usando molti adesivi. In altri casi, addirittura definendo la posizione dei fusibili sulle schede madri “segreto industriale”, impedendone la divulgazione.
Supponiamo che io abbia uno smartphone di 3 anni e che la mia batteria sia da sostituire. Supponiamo poi che il mio telefono sia classificato come “vintage” dalla casa produttrice, che quindi ha smesso di fornire assistenza sul mio prodotto. A queste condizioni, io sono costretto a comprare un nuovo telefono, punto.
MA, se avessi accesso alle batterie originali, o a strumenti che mi permettono di aprire, riparare e chiudere il dispositivo in modo corretto, potrei ancora continuare ad utilizzare il mio telefono, che resterebbe comunque un buon dispositivo, ottimo per le operazioni base, o per mio padre, magari.
Al momento, sul mercato, si trovano con estrema facilità pezzi di ricambio non originali, che spesso si scoprono non solo non performanti, ma anche meno affidabili, quindi, nel caso di batterie, potrebbero addirittura mettere a rischio l’utente. In altri casi, poi, si trovano i pezzi originali, spesso con prezzi gonfiati, che l’azienda principale ha “subappaltato” a terzi, e queste aziende rivendono sottobanco. Il problema, in questo caso, è che non si sa se i prodotti in questione siano stati scartati o siano semplicemente in eccesso.
Nel tempo le case produttrici si sono opposte a questa possibilità anche affermando che il dispositivo non sarà più resistente all’acqua come l’originale. Ma, a queste condizioni, io dovrei scegliere tra un telefono da 600 euro che è diventato un fermacarte, o un telefono che è funzionante, ma non più resistente all’acqua come prima (sempre che io non l’abbia riparato correttamente).
Altra scusa è quella degli hacker: sapere la posizione dei fusibili (che in realtà sono resistenze da 0 Ohm) sulla scheda madre del mio portatile potrebbe favorire l’attacco di hacker e compromettere la sicurezza. Per identificare il componente rotto di una piastra si ci affida alla vista, a voltaggi e a frequenze. Non devo sapere nulla sul codice usato, nulla sulla crittografia, nulla sulla sicurezza. Devo solo trovare il fusibile, il condensatore o il circuito che non funziona correttamente e sostituirlo.
Altro discorso, poi, è sull’inquinamento: riparare il vostro portatile comporta una spesa più bassa per voi (un fusibile, un condensatore, una resistenza o un regolatore di tensione costano pochi centesimi) e anche un inquinamento minore, visto che le case produttrici spesso non riparano il prodotto, ma semplicemente sostituiscono l’intera scheda madre, buttando quella vecchia. Uno spreco di risorse incredibile, tutto in favore del risparmio (di certo non per l’utente, però).
Infine, non dimentichiamo la possibilità di migliorare un prodotto: un prodotto che magari ha un anello debole, o che magari vi serve più performante, o ottimizzato meglio. Al momento la cosa è quasi impossibile, ma senza iniziative del genere non avremmo risolto molti problemi (e non avremmo nemmeno la Lamborghini come casa automobilistica).
Inutile dire che lo scrittore di questo articolo è estremamente a favore della riparabilità delle cose che acquista, sia perché odia gli sprechi, sia perché ha ricevuto diverse volte una pessima assistenza da quelle che dovevano essere le “aziende top”, che evidentemente top sono solo per i prezzi.
Al momento, gli unici attivamente a favore di questo decreto sono repair.org e Kyle Wiens nel CEO di ifixit (il secondo chiaramente anche per interesse, visto che aumenterebbe il suo fatturato), mentre organizzazioni come CompTIA, ctia, NetChoice, ITI, SBCA, TechNet, Consumer Tecnology Association, Toy Industry Association ed ESA, sono attivamente contro.
Il colmo si è raggiunto con la ctia che pubblicamente fa dichiarazioni e interviste a favore della riparabilità dei prodotti, nel mentre, però, scrive ai senatori (è di pubblico dominio la lettera mandata al senatore Lydia Brasch), che per la sicurezza e privacy dei consumatori è meglio opporsi a questa legislazione. Una pratica estremamente scorretta, il Virtue signaling, purtroppo estremamente comune.